Società liquida e fame di liquidità. Tra la fine dei tassi a zero e le vere o presunte crisi bancarie
Ho sempre sostenuto, e continuo a farlo, che i tassi a zero per lungo periodo, così come l’acquisto di bond da parte delle banche centrali con contestuale iniezione di liquidità, abbia rappresentato un’eccezione. Le eccezioni non possono essere la regola, ma quando l’eccezione viene oltremodo stirata, il rischio è sempre quello di causare effetti collaterali quando l’eccezione viene meno.
La crisi del 2008, la cui incubazione arriva in realtà anni prima, è un misto di sogno, avidità, anarchia utopistica. Affonda le proprie radici in alcuni filoni della filosofia americana del ventesimo secolo, che con Nozick teorizzava un libertarismo portato all’estremo, dove il vero rischio è che valga tutto e il contrario di tutto. La deregolamentazione avviata con Regan non si è mai arrestata, e anche dove alcuni strumenti finanziari avevano un significato e utilizzo ben definiti, si è finito con l’abusarne e creare bubboni pestilenziali.
“L’avidità, non trovo una parola migliore, è valida, l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo. L’avidità in tutte le sue forme: l’avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha improntato lo slancio in avanti di tutta l’umanità. E l’avidità, ascoltatemi bene, non salverà solamente la Teldar Carta, ma anche l’altra disfunzionante società che ha nome America”
Erano i folli anni ‘80, e Gordon Gekko nel film di Oliver Stone rappresentava alla perfezione la società del sogno e del potere inteso come possibilità di conquistare tutto senza fare apparenti guerre. L’avidità ha plasmato e forzato le regole a proprio piacimento. E oggi quell’avidità rischia di farci morire affogati dall’eccesso.
Proviamo a fare un riassunto di quanto accaduto nelle ultime settimane. Partiamo da Silicon Valley Bank: l’eccesso di liquidità in mano a persone e aziende si è riversata nel sistema bancario. Silicon Valley Bank accoglie i depositi di persone fisiche e aziende (tipicamente startup tecnologiche). Attraverso i depositi della propria clientela la banca si comporta esattamente come noi risparmiatori: investe quella liquidità. Può farlo concedendo prestiti, depositando presso la banca centrale, comprando titoli. Veniamo dall’epoca dei tassi a zero, e dalle obbligazioni dei rendimenti compressi al minimo, ove non negativi. L’inflazione post pandemia esplode, complice l’ulteriore immissione di liquidità da parte delle banche centrali, nonché le politiche fiscali espansive. Le banche centrali, smarrite dall’ingozzamento del Quantitative Easing, si distraggono, e lasciano scappare l’inflazione a limiti intollerabili dal sistema. Decidono una cura da cavallo, con massicci rialzi dei tassi di interesse che provocano un crollo dei titoli obbligazionari e dei titoli di stato, quei titoli di stato a media/lunga scadenza dei quali la Silicon Valley Bank è piena. I clienti della banca, complice anche il rallentamento dell’economia (poco marcato invero) e il rialzo dei tassi sui prestiti, si presentano agli sportelli della SVB per ritirare liquidità, che SVB non ha, e si trova costretta a vendere (svendere) titoli di stato calati di uno sproposito. La banca va gambe all’aria.
SVB è una banca secondaria per capitale, e negli Stati Uniti è sottoposta ad una regolamentazione più lasca rispetto alle banche sistemiche, regolamentazione più leggera che è stata espansa da Trump, che ha elevato il capitale minimo al quale sottoporre le banche ad una regolamentazione più stringente. Il fatto che SVB sia una banca secondaria non esenta il sistema dal panico, al punto che il bubbone si espande in Europa, scoppiando con il caso di Credit Suisse (i cui problemi erano da tempo noti). Ciò che in Europa scatena il panico, però, riguarda non i depositanti ma gli investitori, essendo stati gli azionisti scavalcati nel rischio dagli obbligazionisti (caso unico). Se infatti gli azionisti hanno visto calare di uno sproposito il valore delle proprie azioni, ma non azzerarsi, gli obbligazionisti AT1 si sono ritrovati con un pugno di mosche. La BCE si è sentita giustamente in dovere di comunicare ufficialmente che le regole delle banche UE non sono quelle svizzere, e che l’ordine di priorità del rischio di investimento in strumenti bancari non è in discussione.
Ora, l’avidità non paga, ma nemmeno la sprovvedutezza paga. In ballo ci sono errori enormi nella gestione finanziaria di queste banche, ma i veri rischi non sono quelli inerenti un contagio sul sistema bancario, ma al contrario un deflusso di depositi dalle banche regionali a quelle sistemiche, in USA più che in Europa. Il vero rischio è quindi che si concretizzi una stretta creditizia. Le banche regionali, infatti, hanno rappresentato spesso il punto di approdo presso il quale vedersi concesso credito da parte dei clienti, credito che le banche più grandi non concedevano. Per fare un parallelo, le nostre banche locali concedono prestiti e finanziamenti, mentre le banche più grandi non lo fanno. Qui il vero rischio: una stretta creditizia che fa il paio con tassi di interesse elevati, che di proprio causano un rallentamento dell’economia.
Tutto questo smottamento sul fronte bancario ha rafforzato le aspettative di un rallentamento della restrizione monetaria, al punto che con le crisi bancarie i titoli di stato hanno intrapreso un percorso di discesa dei rendimenti. Un paradosso ma non troppo, in un clima di risk-off sull’azionario: vendo azioni facendone calare il prezzo e compro titoli di stato contribuendo ad un aumento del prezzo (dietro l’aspettativa che calino a breve i tassi di interesse).
Ma perché ho parlato di avidità all’inizio? Per un paradosso che vedo ripetersi di continuo nell’ultimo anno: le notizie negative sul fronte macroeconomico generano un rialzo di borsa. Paradossale no? Ogni dato negativo alimenta l’aspettativa del mercato in un rallentamento del rialzo dei tassi di interesse, o addirittura una discesa. Vuol dire che i nostri sistemi economici sono affamati di liquidità. E questa fame di liquidità ha due presupposti: l’avidità e il debito. Se volessi essere drastico, e lo sono, direi che è il capolinea di un sistema economico che non regge più il peso del sistema sociale: le nostre economie attraverso il grande debito, stanno spendendo denaro futuro. Ma in futuro come potremmo ristabilire un corretto livello di indebitamento, se ad ogni giro cogliamo l’occasione per alimentare ulteriormente quel debito? La popolazione del cosiddetto occidente invecchia, e invecchia il suo sistema economico. Se non si rigenera è destinato a collassare. La monetizzazione del debito è stato un utile escamotage per rimandare il problema, che ora ripaghiamo sotto forma di inflazione. Ma quanto potremo reggere?
E’ una domanda alla quale non so dare risposta, perché non riesco a prefigurarmi quale nuovo escamotage (parlare di soluzione mi pare utopistico) andremo ad inventare.
Nel frattempo facciamo i conti con questi terremoti finanziari (la scala sismica si ferma per la verità abbastanza in basso), cercando di mantenere obiettività e buon senso. Non siamo alle porte di una crisi finanziaria. Dobbiamo per certo fare i conti con un rallentamento del PIL e probabilmente con una recessione tecnica. Forse sarà l’occasione per vedere ristabilito l’ordine in merito ai dati: le notizie negative sono già in parte scontate, ma possibilmente il mercato prezzerà i dati macroeconomici con maggiore obiettività sul presente e meno formazione di aspettative rispetto al futuro.
Luca Giordani
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